L’anniversario amaro della Convenzione di Istanbul

Maggio 2021 segna il decennale della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica.
Un anniversario amaro dato che la Turchia, primo Paese firmatario, indietreggia e si ritira dalla Convenzione. Come la Turchia anche la Polonia ha avviato il processo formale di ritiro dal trattato. La Slovacchia, la Lettonia, la Lituania, la Repubblica Ceca e l’Ungheria non intendono ratificare pur avendola sottoscritta. La Bulgaria l’ha dichiarata anticostituzionale.
È come se la Turchia avesse aperto un potenziale spazio di azione per altri governi. È il segnale di un orientamento politico pericoloso per i diritti delle donne, in un momento storico in cui, a causa della pandemia, la condizione femminile è in estrema sofferenza sotto diversi punti di vista. È espressione di una sfacciata volontà politica di negazione della portata storica, non solo del trattato, ma del disegno politico globale.

 

Gli ottantuno articoli della Convenzione affermano un principio semplice ma rivoluzionario: la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Colpisce le donne in quanto donne, è violenza di genere. È strutturale e non episodica, è figlia di una cultura maschilista, radicata, di sopraffazione. Un testo da cui sarebbero dovute discendere leggi e politiche di prevenzione dei femminicidi, dei maltrattamenti, delle disuguaglianze di genere.
E invece a dieci anni dalla Convenzione sono stati tanti i passi indietro. Anche in Italia con il cosiddetto disegno di legge Pillon, si è rischiata l’adozione di provvedimenti pericolosi per le donne. E le forti ostilità al Ddl Zan dimostrano le difficoltà nella ridefinizione dello spazio di azione e dei diritti delle donne.
Regredire, indietreggiare sono sempre sinonimi di peggioramento. Rivendicazioni e lotte che hanno portato a conquiste importanti rischiano di essere spazzate via dalle prepotenti culture conservatrici, bigotte e patriarcali.


Il timore che la tutela dei diritti delle donne e della comunità Lgbtq+ possa minare la famiglia tradizionale è all’apice di questa involuzione. Nessuno deve osare mettere in questione i ruoli familiari. Il governo turco non è solo in questo tentativo disperato di rimettere le donne al “loro posto”; di avere delle donne subordinate, delle madri e “caregiver” docili, delle lavoratrici sacrificabili nelle case e sui luoghi di lavoro; di privare le donne migranti della possibilità di sfuggire da stupri e torture; di criminalizzare le persone Lgbtq+ che praticano la loro libertà di vivere fuori dai ruoli e dai doveri patriarcali tradizionali.
Infatti in molti Stati d’Europa, sia orientale che occidentale, come la stessa Italia, la violenza maschile sulle donne è cresciuta drasticamente durante la pandemia. Dall’inizio dell’anno, in Italia sono state già uccise 24 donne da mariti, compagni, amanti o ex. Evidentemente le leggi severe sulla carta ci sarebbero, ma non sono abbastanza stringenti. E soprattutto manca la volontà di rafforzare il ruolo sociale femminile, dando alle donne le risorse sufficienti sul piano economico, sociale, lavorativo e abitativo per uscire da situazioni di violenza.

 

Solo in questo modo e con questi strumenti le donne vittime di violenza potranno liberarsi da una condizione di sopruso, percorrendo un progetto esistenziale, per sé stesse e per i propri figli, alternativo a quello in cui si trovano costrette. Queste sono le motivazioni che impediscono le donne di uscire fuori dalla spirale di violenza subita, dall’incubo che per anni sono costrette a vivere. Non la paura, non l’amore come tante narrazioni tossiche vorrebbero farci credere.


Non ratificare la Convenzione significa non voler essere giuridicamente vincolati alle sue disposizioni e non far seguire norme volte a prevenire la violenza di genere, proteggere le vittime e punire i responsabili. La violenza contro le donne è un crimine e come tale deve essere perseguito e punito. Non ratificare la Convenzione è inaccettabile. Essa ha rappresentato, e rappresenta, come dichiarato dalla Presidente della Commissione europea Ursula Von Der Leyen, la pietra miliare della protezione delle donne di tutto il mondo e l’Ue deve inviare un segnale forte.


Non bisogna retrocedere di un passo, non dobbiamo permettere ai potenti di cancellare le nostre vittorie. Non si può accettare il degrado culturale, l’abbrutimento sociale e la barbarie umana che verrebbe fuori da una retromarcia generale riguardo alla Convenzione di Istanbul.
Il suo decimo anniversario deve essere celebrato nonostante tutto. Deve essere l’origine di una nuova forza civile e politica, una spinta alla conquista di nuovi diritti per quel pezzo di mondo che ancora patisce la cultura della sottomissione e della violenza. Deve rappresentare la volontà di non arrendersi, ma di continuare per questa via. La via della giustizia e del rispetto per l’altro. Sempre.

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